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KRAMER CONTRO KRAMER
(KRAMER VS. KRAMER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 aprile 1980
 
di Robert Benton, con Dustin Hoffman, Meryl Streep (Stati Uniti, 1979)
 
Dura è la vita per chi non fa soldi coi propri film. Ma dura è anche per quelli che ne fanno: GUERRE STELLARI e LO SQUALO furono accolti come divertimenti per bambocci. Mentre erano dei film scritti con una intelligenza ed una logica superiore alla media. Ora è la volta di questo KRAMER, da molti squalificato come una nuova LOVE STORY strappalacrime.

Ci andrei un po' piano. Robert Benton non è un frillo qualsiasi: ha scritto le sceneggiature di BONNIE AND CLYDE e di UOMINI E COBRA rispettivamente di Penn e di Mankiewicz, due capolavori. E girato un giallo, THE LATE SHOW che se andarono in pochi a vederlo, non è colpa sua. Ma che era un'opera splendidamente dissacrante, la storia di un vecchio detective malandato, costretto a rimettersi al lavoro malgrado i reumatismi, zeppa di riferimenti al mito del giallo cinematografico. Chiaro che ora, con KRAMER ha mirato al centro del bersaglio: e gli è riuscito proprio quello che serve oggi ad interessare la gente. Una storia attuale, di quelle che capitano a tutti, vista esattamente secondo l'aria che tira.

La conoscete già: la moglie (Meryl Streep) abbandona il cosiddetto tetto coniugale per trovarsi un lavoro; e quel posto al sole nei rapporti umani che aveva invano reclamato al marito durante i cinque anni di matrimonio (lui lavorava troppo sodo per avere il tempo di accorgersene). Lui, di conseguenza, rimane solo col ragazzino, affronta le difficoltà iniziali del cuocere le uova in padella, poi riesce perfettamente nel ruolo di padre. Ma, avendo solo due braccia, peggiora contemporaneamente la propria situazione professionale. Lei, ricompare in scena dopo un anno e mezzo, e reclama il bambino ("sono la mamma"). Processo (non si capisce bene perché non si accordino bonalmente - ma insomma, ci offre la parte migliore del film) e, nella buona tradizione, il giudice dà ragione alla madre. Insomma: se la giustizia ci è arrivata a riconoscere alla donna il diritto alla professione, ci vorrà ancora un momento prima che riconosca all'uomo quello dell'educazione dei figli. Finale: Benton concede alle sue creature maggiore buonsenso che non ai giudici. E la donna rinuncerà di sua iniziativa a strappare il bambino al marito. Due inadattati sono già abbastanza, inutile crearne un terzo. Tratta da un romanzetto qualsiasi, la vicenda di Kramer mi sembra quindi comune (che male c'è?) ma sicuramente non nociva. La sua forza sta proprio nell'equilibrio col quale considera le esigenze dei tre individui in causa. Leggo sul quotidiano locale che alla donna sono addebitate le colpe della disgregazione familiare, che il film "mette in discussione le tesi femministe circa il necessario impegno sociale della donna". A me pare proprio il contrario.

La recitazione, ma anche lo stile di KRAMER CONTRO KRAMER sono un piccolo capolavoro di ritegno. Faticherete a trovare nel film un movimento di camera puramente decorativo, un effetto di luce compiaciuto. Al contrario, un montaggio serrato, un controllo severo sul "come" dire le cose. Si tratta poi, in definitiva, di quello che si liquida frettolosamente sotto il termine di "ottimo mestiere all'americana". Già: ma questi mestieri sarà meglio non disprezzarli troppo, perché i limiti che li dividono dalla creazione artistica nessuno è stato ancora capace di definirli esattamente. Rimangono le lacrime: il babbo chino sul lettino del ragazzino che dorme fra i giocattoli può anche insospettire. Ma, in una storia del genere, non si tratta di una situazione non solo legittima, ma addirittura inevitabile? Dopotutto, lacrime e sentimenti, hanno pure diritto di coesistere con le grane quotidiane. Può anche darsi che tutto questo sia sbagliato, e che il film sia soltanto una furba operazione commerciale per toccare animi delicati, ed un tocco di modernismo. A me pare un lavoro serio, senza (quasi) sviolinate, che tenta un discorso utile con un linguaggio coerentemente espressivo.


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